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La maggioranza ha sempre torto e l’innovazione sta nelle minoranze

Recordare Roberto • 12 Agosto 2021

Paul Rulkens è un esperto di alte prestazioni strategiche per accelerare risultati esecutivi audaci con  il minimo sforzo, oratore professionista pluripremiato, autore internazionale che ha aiutato migliaia  di dirigenti aziendali, manager e professionisti a ottenere tutto ciò che possono da tutto ciò che  hanno, con idee per migliorare i risultati e accelerare le carriere sono spesso descritte come  stimolanti, controintuitive ed altamente efficaci.

Con le sue strategie comprovate raccoglie miglioramenti aziendali esponenziali.

I suoi argomenti più popolari riguardano i segreti di un’esecuzione coerente, facile innovazione, leadership potente, crescita aziendale, accelerazione  della carriera e lavoro di squadra senza soluzione di continuità.

La maggioranza ha sempre torto?

Ebbene, lui ha affermato e in un certo senso provato, che la maggioranza ha sempre torto, cosa che  ci fa riflettere molto su vari temi, dove la maggioranza ha il potere di decidere, e valutando anche il  motivo per cui la maggioranza ha torto, dobbiamo riflettere anche sui nostri sistemi organizzativi, sulla burocrazia e sul perché è sempre tanto difficile innovare realmente, quando per innovare si  intende una innovazione che pervade ed è interiorizzata dalla società.

L’aspetto interessante, che Paul Rulkens evidenzia, è cosa succede quando singole persone, team  oppure intere organizzazioni sbattano la testa contro una montagna che non riesco a scavalcare.

Precisamente tendono a fare 2 cose opposte tra loro:

  • O ripetono le stesse azioni con più veemenza  pensando di raggiungere una sorta di momentum che li porterà oltre l’ostacolo
  • oppure tendono a  fare sempre meno pensando che sia tutto inutile e a breve getteranno la spugna.

Una cosa invece che viene osservata raramente, è veder loro compiere azioni totalmente diverse  rispetto a quanto fatto fino a quel momento.

La statistica dice che solo il 3% inizia a fare qualcosa  di diverso, mentre il restante 97% continua a sbattere la testa contro il muro.

Il pensiero

Paul Rulkens, parte col farsi una domanda: Qual è il motivo per cui pensiamo? Anche se potrebbe  sembrare una domanda stupida, non lo è affatto, infatti il motivo per cui pensiamo è quello di  smettere di pensare.

La risposta potrebbe sembrare ancora più stupida della domanda, se non ci verrebbe in aiuto la scienza, che ci dà un indizio importante, cioè, che pensare è una delle attività a  più alto consumo energetico.

Per natura, quindi, siamo portati a pensare per il più breve tempo possibile.

Basta pensare che il 95% della nostra vita la viviamo completamente incoscienti di quello che stiamo facendo.

Se da una parte vivere con il pilota automatico ci permette di risparmiare energia, dall’altra però tendiamo a cadere in quella che viene chiamata miopia mentale o più  comunemente visione a tunnel.

Per cui tendiamo a pensare all’interno di una serie di schemi che  man mano il cervello per comodità ha predefinito e tendiamo a categorizzare il mondo.

In questo  modo definiamo dei confini entro i quali possiamo comprenderlo, quindi, stentiamo ad uscire fuori  da questi schemi e per questo continuiamo a vivere una vita mediocre al di sotto delle nostre  possibilità.

Schemi di singoli, schemi della comunità

Questi schemi dei singoli, diventano anche schemi della comunità che diventano confini che ci  costringono all’interno di un’area di ragionamento delimitata.

Confini come: Le leggi a cui dobbiamo  obbedire, la morale che ci guida nelle nostre scelte, limiti fisici che pensiamo di non poter superare, ecc.

Albert Einstein diceva che “E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”.

Il problema non è solo che tendiamo a rimanere all’interno della scatola che ci siamo creati, ma è  anche che la scatola stessa è molto più piccola di quello che pensiamo.

Succede quindi che spesso  continuiamo a fare ciò che facciamo senza domandarci se è la strada migliore, continuando in una  modalità “pilota automatico”, che significa pensare all’interno di confini ben definiti, con un campo d’azione, che in base alla nostra cultura, alla nostra apertura mentale, al nostro bagaglio di  conoscenza, può essere anche molto più piccolo di quello che pensiamo.

E perché a questo punto perché non citare di nuovo Einstein: “Colui che segue la folla non andrà  mai più lontano della folla. Colui va da solo sarà più probabile che si troverà in luoghi dove nessuno  è mai arrivato”.

In parole povere, se continui a fare quello che fanno gli altri otterrai gli stessi risultati che tutti ottengono. Ovvero risultati normali. Per raggiungere qualcosa di straordinario o per evitare  di sbattere la testa in continuazione contro lo stesso muro, bisogna necessariamente allargare i nostri orizzonti.

Abbattere le barriere della normalità

È facilmente intuibile, oltre ad essere assodato dall’esperienza, che le scoperte straordinarie  nascono nel momento in cui le persone abbattano le barriere della normalità. E questo accade in  tutti i campi. Nessun venditore di arredamenti, aveva pensato di vendere una scatola con le  istruzioni per fare montare i mobili a casa direttamente dal cliente.

Quello che l’ha pensato, adesso  è proprietario di un’azienda che si chiama IKEA. Questo personaggio non è altro che uno che  appartiene a quella minoranza del 3% stimato, forse ottimisticamente. Questo ci fa comprendere che la maggioranza ha sempre torto, ovvero che ragiona per standard e  norme, una maggioranza arroccata a schemi semplici e che magari gli vengono anche “imposti”  inconsapevolmente, proprio per la modalità di mantenere il cervello a risparmio energetico.

La curva di adozione della tecnologia

Se trasliamo questo concetto ad esempio nell’innovazione tecnologica, possiamo fare riferimento a  Everett M. Rogers, attraverso il libro “Diffusion of Innovations”, pubblicato nel 1962, che ha ideato  e proposto la sua teoria ed introdotto un diagramma che rappresenta la curva di adozione della  tecnologia (Technology Adoption curve).

Lui calcola una percentuale diversa del 2,5% per quanto  riguarda gli innovatori e descrive l’andamento con il quale un’innovazione si diffonde e si suddivide  in cinque differenti sezioni che rappresentano le diverse tipologie di clienti e quindi di come un’innovazione pervade un mercato.

Suddivide questa tipologia in 5 sezioni:

  • Innovators,
  • Early Adopter,
  • Early Majority,
  • Late Majority,
  • Laggards.

Gli Innovators, secondo Everett M. Rogers, sono i primi clienti a provare un’innovazione (2,5%). Gli  innovatori sono dei veri e propri sperimentatori ben disposti a correre dei rischi.

Generalmente i più  giovani, possiedono la più alta classe sociale, hanno alte conoscenze tecniche e strettamente connesse alle fonti scientifiche.

Questi soggetti assumono elevati rischi e potrebbero alla fine fallire, ma di solito sono in grado di assorbire questi possibili fallimenti.

Gli Early Adopters sono il secondo gruppo ad adottare una nuova tecnologia (13,5%). Queste  persone possiedono meno conoscenze tecniche.

In generale sono giovani e hanno uno status sociale  elevato e l’istruzione è solitamente elevata. Questi soggetti si dimostrano meno temerari  degli innovatori e più cauti e protesi alla valutazione dei rischi. Gli Early Majority sono il terzo gruppo ad adoperare le nuove tecnologie (34%).

La maggioranza  precoce subentra non appena il prodotto incomincia ad avere un “appeal” sul mercato. Questi  utenti sono già più avversi al rischio e necessitano di raccomandazioni, quali: il prodotto è stabile,  non ha grossi rischi, è richiesto dal mercato, ecc.

Insomma, non si tratta di veri e propri leader di  pensiero ma subiscono l’influenza dei media e delle mode nelle loro decisioni di adozione dei  prodotti.

La Late Majority è il quarto gruppo di adottanti delle innovazioni (34%). La maggioranza tardiva inizia  ad essere una categoria piuttosto scettica. Questi utenti adottano i prodotti solo quando diventano  ben collaudati e senza rischi.

Queste persone hanno uno status sociale inferiore, scarse risorse  economiche e minimi contatti con i nostri Early Adopters. Di conseguenza saranno anche meno  propensi a subirne le influenze, ma accettano l’innovazione quando è diventata già abbastanza  pervasiva.

I Laggards (ritardatari) sono l’ultimo gruppo di individui ad adottare le nuove tecnologie (16%).

Queste persone arrivano per ultime e hanno una vera e propria avversione ai cambiamenti, tendono  ad essere avanzati nell’età e si concentrano sulle “tradizioni”. Quasi sempre hanno il più basso status  sociale. Socialmente non hanno contatti con gli “adottanti precoci” ma soltanto con una stretta  cerchia di persone, familiari e amici intimi.

Conclusioni

Anche se oggi l’informazione gira molto più rapidamente del 1962, resta comunque valida la teoria,  se non altro per le resistenze nell’accettare un cambiamento, specialmente quando non si parla di  un prodotto, ma di un processo o una innovazione che richiede proprio un cambio di mentalità e di  approccio.

Tra i primi 2 gruppi, ci troviamo quindi al 16%, quindi sempre una minoranza.

Quella minoranza che  alla fine, da l’impulso all’innovazione e al cambio di paradigmi, che non ci potrebbero essere mai se  si facesse affidamento sulla maggioranza delle persone. Anche se si parte quindi da due punti di vista diversi, la conclusione converge ad un risultato, ossia,  che la maggioranza non è il riferimento per intraprendere innovazioni o pensare di poterne subire le decisioni.

 

Fonte: articolo di Roberto Recordare
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